Il 26 febbraio del 2023 un’imbarcazione con a bordo circa 180 persone si schiantava al largo delle coste del comune calabrese di Cutro: 94 i morti, tra cui 35 minori. Uno dei naufragi più letali mai avvenuti sulle coste italiane su cui ancora oggi non è stata fatta giustizia. Il governo ha approvato il decreto Cutro e firmato accordi internazionali con l’intento di arginare i flussi migratori. Ma i morti in mare in questo inizio 2024 sono il doppio rispetto allo scorso anno.
A meno di due giorni
da questo triste anniversario mi ritornano in mente le drammatiche immagini del
film che abbiamo visto qualche settimana fa’ insieme alle altre classi del
nostro Istituto al cine-teatro Ariston, “IO CAPITANO”, una produzione di
Matteo Garrone e candidato agli Oscar 2024 come miglior film straniero.
Il
film tratta del tema dell'immigrazione e dei rischi che il “viaggio” può
comportare, ma anche della felicità dell'arrivo. L'immigrazione spesso comporta
viaggi difficoltosi e pericolosi, in quanto i migranti affrontano condizioni
estreme nel tentativo di raggiungere una vita migliore, ed è proprio questa l’esperienza
che i protagonisti del film, Seydou e Moussa, vivono. Attraversamenti di deserti,
mari in tempesta o altre ostilità, espongono i migranti a rischi di salute e di
morte. La mancanza di percorsi sicuri e legali per l'immigrazione spinge molte
persone verso mezzi più rischiosi. In questo caso i due ragazzi intraprendono
un viaggio verso Tripoli, attraverso il deserto, imbattendosi, però, in una
delle tante reti criminali che organizzano una vera e propria tratta di
schiavi. Per questo credo che i governi debbano affrontare la gestione
dell'immigrazione in modo equo ed efficace, bilanciando la sicurezza nazionale,
ma sopratutto affrontando le cause profonde che spingono le persone a migrare,
ossia la riduzione della povertà, la promozione di opportunità economiche e
l'instaurazione di una maggiore stabilità politica. Quando Seydou riesce a raggiungere la Sicilia, la
felicità brilla nei suoi occhi. Una felicità dettata né dai soldi né dal
successo economico, obiettivi che la società odierna ci impone come mete
supreme, ma una felicità dettata dal salvataggio di tantissime persone, dalla
riuscita del viaggio, dall'amicizia che anche in questi momenti difficili, non
muore mai. Il messaggio del film è molto forte; è triste, comunque, pensare che
nella realtà non tutti hanno provato la stessa felicità di Seydou.
Angelo Spagnolo,
Classe 3^ A
Liceo delle Scienze Umane