Gentile professoressa,
È una dei suoi vecchi alunni che le scrive, una di quelli appartenenti alla fascia dei “bravi studenti”, sempre studiosi ed educati, dai quali non resta che prendere esempio.
Eppure, è bene che lei sappia che spesso persino i “bravi studenti”, così come i “cattivi”, nutrono dentro di sé una voglia immensa di cambiare, opporsi e scindersi definitivamente dal “buon personaggio” di turno, apprezzato solo perché concepito tramite le “lenti” modellate dallo sguardo sociale.
E chi, meglio di un professore, dovrebbe essere in grado di promuovere, oltre alla trasmissione delle conoscenze per un adeguato apprendimento, gli strumenti più adatti per stare bene con se stessi ed evitare che subentrino sentimenti di questo tipo?
Chi, se non il soggetto che funge da “modello” per i suoi studenti, con cui si relaziona quotidianamente, dovrebbe saper capire se qualcosa, nell’“alunna attiva, ma ragazza passiva”, smette di scorrere; se, piuttosto che con una normale e ambiziosa adolescente, gli sembra di parlare con uno specchio vuoto o un robot assente.
Un insegnante, dal latino insignare, è colui che incide, imprime dei segni; e di fatto, se sto impiegando il mio tempo per scriverle questa lettera, devo dire che lei è riuscita a pieno in tal senso. Tuttavia, si tratta di segni spezzettati, irregolari, tratteggiati, talmente superflui e impercettibili che ho impiegato del tempo per accorgermi della loro effettiva presenza.
Sono segni ormai provvisori, che con il tempo si affievoliscono, ma, soprattutto, che non sono affatto positivi, e che inevitabilmente faranno sempre parte di me.
In questo lungo periodo di passaggio da un insegnante all’altro, ho avuto modo di essere interpretata secondo varie prospettive: un cubo che non sarebbe più lo stesso senza le varie facce ad esso attribuite.
Le facce più o meno si richiamano con una certa frequenza: una ragazza capace e intelligente, sebbene un po’ “ambigua”, chiusa, la silenziosa di turno, difficile da conoscere realmente, un “rebus”. Insomma: quasi un'alunna modello! “Quasi”, appunto.
Infatti, nonostante
tutto, si tratta di una ragazza che senza dubbio potrebbe fare ancora di
meglio, che forse non si è preoccupata di dare il massimo, il quale, tra
l’altro, sembra non essere mai
abbastanza.
Ma adesso, cara professoressa, è arrivato il momento di svelarle il reale motivo di questa mia improvvisa comparsa.
Di recente mi sono imbattuta in un articolo molto interessante che ha rapidamente ricondotto il mio pensiero a lei. Si tratta di un articolo che sottrae fiducia al sistema scolastico medio, il quale, nonostante abbia senz'altro subìto un miglioramento nel corso dei secoli, non ha mai del tutto estirpato le proprie cattive radici.
Agli alunni, infatti, si sa, vengono insegnate aree specifiche della matematica, imparano a condurre esperimenti scientifici, ad apprezzare le arti, a conoscere molteplici lingue, guerre e rivoluzioni avvenute tanti secoli fa, stimolanti poesie e tanti autori la cui conoscenza è imprescindibile in ogni tempo.
Tuttavia, sebbene si tratti di saperi incredibilmente necessari, non c'è alcuna garanzia che essi siano sempre tutti rilevanti per ogni studente.
Infatti, si è di fronte ad una scuola che punta a raggiungere l’obiettivo finale senza curarsi, però, del percorso di ogni singolo alunno, diverso per ciascuno, così come diversi sono i loro tempi, interessi, opportunità, capacità, punti di forza e debolezze.
“Indottrinarli” in un falso senso di sicurezza secondo cui i loro meriti accademici siano tutto ciò su cui dovrebbero concentrarsi a scuola, è potenzialmente dannoso.
Malgrado ciò, professoressa, io non la biasimo del tutto: siamo in una scuola che altro non è che il riflesso di una società poco attenta, che spazia dal minimizzare all’ ingigantire un singolo problema, senza vie di mezzo; una società assurdamente competitiva dove se non corrispondi ad un canone ben preciso allora sarai bollato come "sbagliato"; una società senza freni, perennemente insoddisfatta, che richiede sempre di più (basti pensare al gusto capitalistico e consumistico della nostra epoca); una società in cui l'attenzione della gente è rivolta esclusivamente a tutto ciò che attira l'occhio, ciò che appare visibile, senza curarsi del fatto che spesso le cose che pesano di più sono proprio quelle che non si vedono.
Professoressa, si è mai chiesta cosa si intenda veramente con l’espressione “salute mentale”? Dubito che possa ammettere di averlo fatto, dunque sarò più diretta: si è mai curata di riflettere sul motivo per cui ci si vergogna a parlare di salute mentale?
Perché la gente spesso sminuisce e nasconde ciò che è evidente per paura di essere segretamente “matta” , e giudicata conseguentemente dagli altri come tale, senza sapere neppure cosa significhi?
Basti far riferimento alla categoria di gente che considera gli psicologi "strizzacervelli", o che spesso si rifiuta di comprendere e considerare i danni psicologici altrui perché tanto quel povero ragazzo o “sarà solo un po' stressato", o "sarà solo un po' di malumore", mentre magari in realtà starà covando dentro un male più profondo.
Il risultato di tutto ciò inevitabilmente si riscontra più o meno in tutti gli ambienti lavorativi e gradi scolastici, fino ad arrivare, ad esempio, alle tragedie universitarie di cui si sente parlare ormai all’ordine del giorno.
I giovani, infatti, pressati dai valori sociali basati sull’estremo perfezionismo e sulla tendenza a voler primeggiare sempre sia a scuola che al lavoro, non si sentono all’altezza degli standard loro richiesti e preferiscono spesso “rinchiudersi” o, nel peggiore dei casi, togliersi la vita, per evitare di affrontare una realtà quotidiana che avvertono come opprimente.
Tuttavia non è mia intenzione concludere questa lettera senza prima dare spazio ad un piccolo spiraglio di luce: la speranza.
Conservo la speranza in una scuola che possa prendere atto di quanto affermato e che mostri interesse a mobilitarsi in tal senso.
È importante, infatti, che tutti gli allievi, i futuri cittadini, vengano resi pienamente consapevoli delle priorità alle quali prestare attenzione, come la propria salute e, al contempo, della sofferenza ultima a cui spesso, e inevitabilmente, la vita ci sottopone ; in sostanza, essi devono essere pronti a coltivare la resilienza nell'incertezza e la compostezza nel caos di un mondo così complesso.
È opportuno insegnare loro a lottare contro l'assenza di obiettivi, in quanto equivarrebbe ad attraversare la vita senza una direzione.
Ma, soprattutto, è fondamentale trasmettere loro la consapevolezza che non esiste vergogna quando si è liberi di esprimersi ed agire per quello che si è, e per quello che si può.
La vulnerabilità, i nostri rapporti con gli altri, le nostre difficoltà, i nostri sentimenti, le emozioni, il modo in cui gestiamo il nostro dolore e la volontà di offrire seconde possibilità: alla fine, parlare di salute mentale vuol dire parlare di tutto quello che ci rende umani.
Tuttavia, professoressa, sappiamo entrambe molto bene che per azionare il meccanismo del cambiamento non è sufficiente la fiducia e l’impegno di una sola persona.
Pertanto, chiudendo un occhio sul passato e porgendole la mano, inizio col chiedere a lei: Sarebbe disposta a dare speranza ai suoi nuovi alunni, concedendo loro una seconda possibilità?
Letizia Catalano, 5^ O
Scienze Umane
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