Visualizzazioni totali

sabato 1 aprile 2023

CARA PROFESSORESSA




  

Cara professoressa,

Sono sicuro che si ricordi di me perché lei certamente ricorderà ogni singolo alunno a cui ha avuto il piacere di insegnare, come metterlo in dubbio! Lei certamente ricorda ogni faccia, ogni voce, ogni tema e ogni personalità, ogni discorso, ogni pianto e anche ogni rimprovero. Eppure non ne incontra nessuno per strada, nessuno l’ha mai salutata in giro, ringraziata, o scritto, su questi nuovi social, nuovi per lei intendo. Nessuno le ha mai dimostrato la sua gratitudine dopo quello stressante esame di terza media. Ma lei di certo non si fa troppe domande. Perché dovrebbe? Eppure fa sempre bene farsi due conti per capire cosa non va.

Sono comunque sicuro che, malgrado l'ingratitudine dei suoi vecchi studenti, lei si ricorderà di tutti loro, e in particolare di me. Eppure io le sue lezioni non le ricordo minimamente. Non ricordo un solo argomento spiegato da lei, e nemmeno un interrogazione a essere sincero. Al massimo ricordo di aver fatto qualche compito in classe della sua materia. A dir la verità, se dovessi basare il mio ricordo su quello che lei era in classe, e non su quello che era scritto nel mio diario scolastico, nemmeno saprei che materia insegnasse. E mi spiace, ma la mia dimenticanza non deriva da una qualche sua incredibile abilità di collegare e intrecciare tra di loro più discipline, certo che no, ma deriva dalla mia totale assenza durante le sue lezioni. Fisicamente ero presente, ma avevo la testa tra le nuvole. Può pensare dunque che la colpa della mia svista sia allora esclusivamente mia, certo, ma non è forse il compito di un insegnante quello di preoccuparsi che tutti gli studenti partecipino alla lezione? Oppure, come lei erroneamente sostiene, un professore dovrebbe limitarsi a conoscere solo la materia da lui insegnata? È paradossale pensare alla figura dell'insegnante, del pedagogo, senza coniugarlo alla pedagogia stessa. Forse lei, professoressa, nemmeno sa cosa sia la pedagogia. Eppure insegna, solo perché sa ciò di cui parla, anche se non sa come trasmetterlo. Io ricordo che lei rimproverava i più vivaci, quelli che giocavano sempre, e non stavano zitti; mio fratello ad esempio era una delle sue attrazioni preferite, ecco forse quelle urla lanciate sono l’unico ricordo che ho delle sue lezioni, poi per il resto nulla, potrebbe anche aver detto le peggiori parolacce o narrato le più avvincenti storie, e io non ne ho idea.

Ricordo come rimproverava i più fastidiosi e rumorosi, mentre noi diligenti e bravi passivelli eravamo apprezzati, anzi di più, venivamo elogiati per la nostra passività. Non pensi dunque che il problema sia solo lei, ma un po’ quel sistema, che avendo a che fare con bambini un po’ troppo cresciutelli, doveva preoccuparsi prima di mantenerli calmi e poi, possibilmente,  di fargli imparare qualcosa. Si, voi escludevate a prescindere la possibilità di coniugare attività ed educazione, azione e apprendimento, dialogo e lezione. Voi, e lei in particolare, pensavate che l’unico modo per apprendere era sentire, e davate per assodato che col silenzio si sentisse. Be’, io credo, anzi sono certo, che avrei paradossalmente sentito di più con uno stimolante baccano piuttosto che con quel morto silenzio. Non era nemmeno un silenzio placido, tranquillo e rilassante, ma era un silenzio forzato, rotto dalla sua disinteressata e minacciosa voce che recitava un monologo, rivolto probabilmente a se stessa, o al registro, ma sicuramente non a me. Certo che nessuno imparava niente:quello non era un ambiente di apprendimento, era un carcere in cui eravamo costretti a stare zitti e eventualmente ascoltare ciò che ci proponevate.

Ma basta parlare delle monotone lezioni, sterili e inefficaci, ormai infatti sta diventando una critica troppo comune alla scuola italiana. Preferirei difatti calarmi ancora di più nel personale, professoressa, ammettendo che lei si ricordi ancora di me, il “Cipollina tranquillo”. Infatti si ricorderà, professoressa, che noi Cipollina, oltre a essere due fratelli tanto diversi caratterialmente, eravamo accomunati da una disperata ed estremamente tragica malattia incurabile: la Dislessia. Sì, perché così lei e qualche altro suo collega la vedevate la mia lieve disgrafia, e la discalculia di mio fratello: come una tremenda condizione di infermità, di disabilità, che ovviamente ostacolava i miei tentativi di apprendimento. Proprio sulla base di questa vostra abissale ignoranza sui d.s.a -perché non era altro che questo: pura ignoranza- avete così compromesso drasticamente il processo di apprendimento mio e di mio fratello. Infatti vedevate in noi dei disabili non troppo disabili, che necessitano di un aiuto, certo, ma non poi di così tanta attenzione. Effettivamente era pure vero, ci serviva solo un piccolo aiuto, ma quello che lei ci ha fornito, poteva essere tutto, ma non di certo aiuto. Per la sua ignoranza infatti, ha accomunato tutti i disturbi specifici dell’apprendimento in una sola condizione unitaria di difficoltà. Proprio per tale ragione ci avete dato un sussidio imbarazzantemente inutile per la nostra condizione, ovvero libri ridicolmente semplificati e interrogazioni programmate, e ciò, invece di stimolarmi e incentivarmi a studiare, mi ha solo allontanato dallo studio stesso. Ricordo infatti con una certa nostalgia quei pomeriggi passati a non far niente, perché tanto ripetevo qualcosina, male, e visto che ero “malato” prendevo un immeritato 6. Avete preso le peggiori precauzioni per farmi studiare: libri più semplici, corsi di recupero, compiti in classe semplificati, ma niente, nulla sembrava aiutarmi. E pensare che bastava semplicemente dirmi di studiare! Pensandoci oggi mi sembra pure ovvio che lei non pensava minimamente che il problema derivasse da una mancanza di impegno, ma dalle mie difficoltà, infatti io e lei non avevamo mai avuto nessun dialogo, se non quei pietosi interrogatori. Mi sembra dunque normale che le uniche informazioni che avesse su di me fossero quelle presenti all’interno del mio fascicolo, che ovviamente non conteneva la mia mancanza di studio, ma solo il mio  disturbo specifico dell’apprendimento. In questo caso il problema non era solo mio, ma dell’intera classe, infatti lei non aveva un minimo dialogo con i propri alunni. Non voglio cadere nella banalità, ma per lei eravamo effettivamente solo numeri, solo voti. Se lo ricorda quando si è arrabbiata perché il povero Francesco non ha potuto studiare perché aveva perso un nonno? Ammirabile la sua insensibilità di fronte un ragazzino di 13 anni in lutto. Entrati in quell’ambiente sterile infatti, sia voi, che noi, perdevamo la nostra umanità, per diventare voti, e materie.

Lei sembra pertanto aver sbagliato tutto con me, e con quegli altri poveretti dei miei compagni di classe. Fin da sempre si è dimostrata inadeguata a trattare e interagire con una classe di ragazzini dagli 11 ai 14 anni, ad affrontare alunni con disabilità, disturbi o semplici dislessie, lei infatti è l’emblema dell’insegnante retrogrado, incapace di trattare le nuove esigenze della scuola e privo di conoscenze pedagogiche. Potrà essere dunque la più preparata nella sua disciplina, ma ciò non fa di lei una buona insegnante, se non è in grado di trasmettere in maniera efficace ciò che sa.

La sua inadeguatezza però non era solo nella fase della trasmissione delle conoscenze del processo di apprendimento, ma anche nella correzione dell’errore. Infatti lei, non considerava l’errore come mezzo di apprendimento,  ma come un fallimento, semplicemente da non ripetere. Credo infatti che se qualcuno avesse osato correggere i miei errori, farmi capire cosa sbagliavo, come rimediare, e come comportarmi, forse avrei appreso qualcosa. Invece no, tutti così presi dalla mia tragica infermità che nemmeno osavate correggermi gli errori, favorendo così il loro ripetersi. E pensare che, se qualcuno di voi avesse compreso che i miei bassi risultati non dipendevano dalla mia disgrafia, ma solo dalla mia negligenza, io avrei ottenuto prestazioni decisamente migliori. Fortunatamente professoressa, uscendo da quella comodissima scuola (per me), ho capito che i miei risultati dipendevano effettivamente da me, perché Io sono membro attivo della mia istruzione, e non passivo.  

Antonino Cipollina, 5^ O
Scienze Umane

Nessun commento:

Posta un commento