Per la nona edizione del concorso giornalistico "Santo della Volpe, bandito dal Comune di Erice, nell'ambito delle iniziative del "Non ti scordar di me", a quaranta anni dalla stage di Pizzolungo del 2 aprile 1985, agli studenti delle scuole secondarie di secondo grado è stato chiesto di elaborare un testo nella forma di articolo giornalistico con la seguente traccia: "Le democrazie hanno bisogno di persone capaci di nuotare controcorrente, di denunciare gli errori commessi, di insistere con maggiore forza su un problema quanto più risulta sgradito» (cit. James Bryce, storico, giurista e politico britannico). Individuate chi secondo voi oggi rispecchia questa descrizione. Realizzate una intervista, anche nella forma immaginaria, sul tema del contrasto alle mafie come dovere costituzionale".
Questo è l'articolo scritto da Monaco Letizia, con il quale ha partecipato al concorso.
La lotta alla criminalità
organizzata è una delle battaglie più dure e complesse del nostro Paese, una
sfida che richiede coraggio, determinazione e un profondo senso di giustizia.
Pochi uomini incarnano questi valori come il Procuratore della Repubblica
Nicola Gratteri, da sempre in prima linea contro la ‘ndrangheta e le mafie e
mosso da un profondo rispetto verso gli impegni costituzionali.
Nato in Calabria e cresciuto con
un forte senso del dovere, Gratteri ha dedicato la sua vita alla difesa della
legalità, affrontando minacce e pericoli con una determinazione incrollabile.
La sua esperienza diretta lo ha reso una delle figure più autorevoli nella
lotta alla criminalità organizzata, non solo sul piano giudiziario ma anche su
quello culturale ed educativo, promuovendo la prevenzione nelle scuole e
sensibilizzando i giovani sull’osservanza della legalità.
INTERVISTATORE: Salve signor
Gratteri. Grazie per aver accettato di farsi intervistare. La gente la conosce
come “Procuratore della Repubblica Nicola Gratteri”, quale ruolo ha il suo
lavoro nella sua vita?
NICOLA GRATTERI: Grazie a voi.
Sono molto entusiasta del mio lavoro perché promuove valori su cui ho fondato
la mia intera vita, come quello della giustizia. Sono nato in una famiglia
della Calabria poco abbiente ma ricca di sani valori e, seguendoli, ho scelto
di diventare magistrato e procuratore.
I: Quando ha scelto di diventare
Procuratore e cosa lo ha convinto a non abbandonare mai il suo lavoro?
N.G.: Non c’è stato un momento
preciso. Sin da piccolo ho sentito molto il peso del dovere costituzionale
proprio di ogni cittadino, poi ho anche vissuto la mia infanzia circondato da
fenomeni mafiosi: fin dalla frequenza della scuola media inferiore ho conosciuto
la violenza e la prepotenza, esercitate da figli di ‘ndranghetisti. Ho sempre
cercato di perseguire la giustizia e di aiutare gli altri e, ad oggi, lo faccio
concretamente con il mio lavoro; non a caso, pur potendo scegliere tra le Procure
di tutt’Italia, essendo tra i primi in graduatoria, ho scelto volutamente la
mia terra. Per quanto riguarda i “pericoli” cui incorro, ogni lavoro ha il suo.
Ogni giorno io potrei subire attentati, come un qualsiasi operaio potrebbe
essere schiacciato da una macchina… Ho scelto in maniera consapevole di voler
far del bene alla collettività, accettando tutti i rischi del caso e ne ho
ricavato la libertà. Sarò per sempre grato alla mia famiglia per i valori che
mi ha insegnato, perché probabilmente, se fossi nato in una famiglia di
‘ndranghetisti, oggi sarei capomafia...
I: Crede che quindi la causa
principale della diffusione della mentalità mafiosa sia l’appartenenza familiare?
N.G.: Certamente! ma non solo. La
famiglia non la possiamo scegliere, per cui molta importanza ha l’azione di
prevenzione e sensibilizzazione promossa dalle scuole. Nelle aule i ragazzi
dovrebbero ricevere gli strumenti per capire il mondo, per pensare in modo
autonomo, per discernere tra giusto e sbagliato senza influenze esterne. Quando
i ragazzi tornano a casa dopo la scuola, se sono fortunati e vivono in famiglie
oneste, avranno una vita normale, se invece appartengono a famiglie mafiose non
hanno scelta: devono compiere azioni criminali anch’essi. Ecco perché io stesso
mi impegno ad avere un confronto diretto con i ragazzi in scuole e università;
non basta combattere le mafie, serve fare prevenzione.
I: A proposito di conferenze
nelle scuole. Ha mai incontrato il giovane siciliano Felice Piemontese?
N.G.: Purtroppo non ho mai avuto
il piacere di incontrarlo ma lo conosco e lo stimo molto, mi piace che i
giovani siano i primi promotori di un’educazione alla legalità. Felice ha
compreso che la prima arma con cui poter combattere il fenomeno mafioso è
l’informazione e ha promosso incontri con procuratori antimafia. Sono i giovani
come lui la nostra ricchezza, infatti è proprio a partire dai pensieri dei
giovani che ho accettato inviti dalle scuole e ho scritto il libro, di cui vado
molto fiero, “La mafia fa schifo”.
I: Parlando invece della
manifestazione “Non ti scordar di me”, a cui lai ha voluto aderire con
quest’intervista, il lavoro di Margherita Asta è un esempio di come il dolore
personale possa trasformarsi in lotta per la giustizia. Quanto è importante la
testimonianza delle vittime?
N.G.: È essenziale. Margherita ha
perso la madre e i due fratellini in un attentato destinato ad un magistrato
antimafia e da allora la sua vita è stata dedicata interamente alla lotta
contro la criminalità organizzata. I familiari delle vittime di mafia ci
ricordano il prezzo che si paga quando lo Stato non è abbastanza forte contro
le mafie. La loro voce è un continuo promemoria a non abbassare mai la guardia.
Ma non bisogna mai dimenticare che il contrasto alle mafie non deve essere
motivato esclusivamente dal dolore personale. Il motore della giustizia deve
essere la Costituzione stessa, con i suoi principi fondamentali di libertà,
giustizia e uguaglianza, condizioni necessarie per una vera democrazia.
Letizia Monaco
Classe 4^ A
Scienze Umane
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